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Commento al documentario “Anthropocene – L’epoca umana”

Condividiamo un’analisi realizzata dal laboratorio di ecologia politica Until the Revolution, frutto del dibattito svoltosi dopo la proiezione tenutasi al 38 occupato.

Il film, un documentario del 2018, realizzato grazie alla collaborazione dei registi Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier con il fotografo Edward Burtynsky, gioca la propria forza sull’impatto visivo, con l’utilizzo di lunghe e profonde riprese ad alta definizione di quella che a volte sembra fantascienza, ma che purtroppo è la semplice realtà dei fatti: la devastazione causata dall’inquinamento prodotto dall’essere umano.
Sono poche le parole nel film, se non quelle di chi vive in mezzo a territori deturpati da una mano che da una parte scava e distrugge per estrarre qualcosa che frutterà denaro sul mercato; e dall’altra smaltisce merce in eccesso, spazzatura, torri di plastica, metallo, alluminio, riversate addosso a territori costretti ad essere prima dispensa e poi discarica, dove centinaia di persone, anche bambini, nuotano, si arrampicano, per fare carichi di materiali da rivendere per pochi spiccioli. A volte queste voci ci fanno capire come per chi nasce e cresce in luoghi dove lo status quo è quello, pare normale ciò che accade, la prospettiva naturale di ambiente circostante è quella di canyon di mondezza occidentale e montagne affettate per ricavare blocchi di marmo. Il film non dà un giudizio aperto, lascia che sia lo spettatore a farlo e a porsi delle domande sull’origine di tale devastazione, di cui si sente parlare ma di cui si sa ben poco, soprattutto se si è dei bianchi medio borghesi. Anche se trapela evidente come al momento a  pagare maggiormente le conseguenze di un estrattivismo folle, di un commercio becero e assassino come quello neoliberale capitalista siano quei territori depredati dal colonialismo, non sfuggono dal film riprese anche di territori europei, poiché la questione riguarda il globo intero e tutt* coloro che lo abitano. Le montagne di Massa Carrara o la foresta di Hambach in Germania, dove il gruppo RWE continua da anni a scavare l’impossibile per estrarre la lignite, un carbone estremamente inquinante, costringendo chi vive nei villaggi vicini ad andarsene per far spazio ad una mostruosa scavatrice. In realtà proprio nello scenario tedesco c’è una partita aperta giocata dagli attivisti di Ende Gelände , un movimento di lotta ambientale nato proprio per la difesa del sito. Questo ci fa pensare ad altre esperienze di lotta per la salvaguardia dei territori, più geograficamente vicina, come quella No Tav, o più lontane come la recente occupazione dei Mapuche di una fattoria del gruppo Benetton in Patagonia. Di esperienze di questo tipo purtroppo nel film non si accenna minimamente e questo è sicuramente un grosso limite, anche se rientra in quello che pare essere stato il modus operandi di questo documentario: mostrare danni e contraddizioni prodotti dall’essere umano sul pianeta super partes. La domanda però nasce spontanea, veramente pensiamo che la colpa di tutto questo sia l’essere umano in toto? Veramente crediamo che la colpa sia anche di chi è costretto ad arrampicarsi tra montagne di spazzatura o a lasciare la propria abitazione per far estrarre del carbone? Oppure la colpa è di un sistema economico basato sullo sfruttamento scellerato, la prevaricazione e quindi l’appropriazione forzata di territori e persone, per gli interessi economici di pochi individui, identificabili con l’uomo bianco, eteronormato, europeo e cristiano? Sarebbe forse più corretto quindi identificare le responsabilità della crisi che stiamo attraversando, e che potrebbe essere quella finale, nel sistema che l’ha prodotta, ovvero il capitalismo. Proprio per questo è più appropriato parlare non tanto di “anthropocene”, quanto di “capitalocene”.

Ad ogni modo le immagini forti di questo documentario palesano bene come secondo questo sistema qualcosa ha senso di esistere relazionata a quanto profitto può produrre; quelle riprese proiettate in sale e salotti sono sicuramente importanti per smuovere coscienze e consapevolezze di tutt*, anche di chi continua imperterrito ad ignorare la questione e forse rendersi conto che i comportamenti individuali come la raccolta differenziata avranno senso fino ad un certo punto se continuerà ad esserci chi specula senza freni sul vivente.

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