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Coronavirus ed Ecologia-Mondo

In queste ultime settimane non si parla d’altro se non di emergenza Coronavirus (Covid-19). Ormai sotto gli occhi di tutti e tutte, le contraddizioni che questo virus altamente contagioso sta palesando hanno conseguenze importanti che vanno a impattare contro diversi aspetti della nostra quotidianità e non solo (riproduzione sociale, lavoro, università, carceri).
Questa riflessione si propone di situare il Covid-19 in una prospettiva d’analisi specifica, quella dell’Ecologia-Mondo (World-Ecology). Tale filone di pensiero attinge alle teorie dell’Economia-Mondo di Immanuel Wallerstein e le rielabora dando enfasi alla storia ambientale dell’economia-mondo capitalista. Questa linea di pensiero parte da una netta critica al dualismo Società-Natura e dall’assunto che la nascita e lo sviluppo del capitalismo devono essere situati, storicamente e geograficamente, all’interno della “rete della vita” (“the web of life”, ndr). Questo implica approcciarsi al capitalismo guardandolo non come un semplice sistema economico, ma come una complessa e multi-specie ecologia-mondo segnata da movimenti di accumulazione di capitale, perseguimento del potere e ri-/co-produzione di ‘natura’ attraverso l’ottica delle relazioni di valore.


A questo punto la domanda è: dove e come si posiziona il Coronavirus in questo contesto?
Seguendo la linea teorica di Jason W. Moore, principale esponente dell’Ecologia-Mondo, il Covid-19 può essere guardato come uno di quei fenomeni o processi che contribuiscono a creare valore negativo e dunque ostacolare la riproduzione capitalista. Più precisamente, Moore identifica come “limiti di valore negativo” (“negative-value”, ndr) alla riproduzione capitalista quei processi storici di accumulazione, i quali riguardano non solo un’accumulazione di capitale, ma anche un’accumulazione di catastrofi che coinvolgono tutte le specie viventi. Questo concetto racchiude la totalità degli effetti negativi del capitalismo sul vivente, l’insieme delle conseguenze sulla salute e sull’ambiente, che hanno però la potenzialità di trasformarsi in limiti per il capitalismo stesso. L’elenco potrebbe essere infinito: dalla deforestazione alla desertificazione, dalla tossificazione di acqua, terra e aria all’accumulo incessante di rifiuti, dalla resistenza antibiotica al cambiamento climatico. Il verificarsi e l’accumulazione di tutti questi elementi va a costituire barriere alla continua riproduzione ed espansione capitalista, in quanto mina la possibilità al capitale di garantirsi cibo, manodopera, energia e materie prime a buon mercato (“the 4 Cheaps”, ndr).
Il Coronavirus si inserisce in questa dinamica tramite ciò che Moore chiama l’”effetto erbaccia” (“superweed effect”, ndr). Con questo termine si indica la tendenza da parte del vivente non-umano a evolversi più rapidamente delle discipline tecnologiche capitalistiche: tale effetto ci mostra la dialettica co-produzione e co-evoluzione di forme di vita ostili ai processi di accumulazione di capitale.
Il virus in questione è infatti più ‘avanzato’ rispetto ai mezzi scientifici a disposizione per combatterlo: non vi è alcun vaccino, né una cura comprovata.
Tale virus si è originato a Wuhan (la Silicon Valley cinese che è stata luogo di nascita dell’industria siderurgica cinese e ospita più di 90000 aziende), in Cina, nota per essere uno dei paesi più inquinanti al mondo. A seguito dell’esplosione e della diffusione del virus, nel solo mese di Febbraio, si è registrato un calo di 200 milioni di tonnellate di CO2 e un calo del 30% del biossido di azoto per la minore domanda di energia, più cali tra il 15% e il 40% della produzione nei principali settori industriali. Allo stesso modo, anche nel Nord-Italia (area colpita fortemente dal virus) si è verificata una drastica riduzione dei livelli di biossido di azoto nell’aria. A primo impatto, questa dinamica può sembrare persino un segnale di ribellione da parte del vivente, stanco di essere assoggettato alla dominazione distruttiva del capitalismo.
Inoltre, potenzialmente esplosivo è il fatto che questi limiti negativi trascendano le canoniche distinzioni “umano”/”non-umano”, andando a collocarsi direttamente nella zona di capitalizzazione. In questo senso, tali limiti sono strettamente legati – ma non riducibili – all’esternalizzazione dei costi da parte del sistema capitalista. Costi che vanno poi a gravare su umani e non-umani in egual misura: tutto il vivente è sottoposto a un duplice attacco dialettico di sfruttamento e appropriazione, che ha il fine di creare nuove frontiere per l’espansione capitalista. In questo modo, l’esplosività la si ritrova in tutte quelle contraddizioni che emergono dall’incontro tra l’organizzazione capitalistica del vivente e i limiti di valore negativo. Il Coronavirus, infatti, ha avuto il merito di portare all’esasperazione diverse situazioni latenti di sfruttamento e appropriazione, rendendo evidente chi è che paga i costi di questa crisi: dagli operai che lavorano in fabbrica senza alcuna misura di sicurezza e che si stanno opponendo tramite scioperi spontanei e determinati alla costante prioritizzazione del profitto, alle donne e mamme sulle cui sole spalle è scaricato il compito di cura e riproduzione sociale, in assenza di una qualunque assistenza o copertura, passando per i lavoratori e le lavoratrici precari/e che devono sopportare costi in forma di assenza di reddito a causa dell’emergenza in corso (oppure rischiare di essere contagiati, quando è possibile lavorare, poiché non viene fornito loro l’equipaggiamento necessario alla prevenzione).


Queste contraddizioni, in una prospettiva di Ecologia-Mondo, vanno guardate come originanti da una doppia internalità: le relazioni di valore internalizzano il e vengono internalizzate nel vivente, simultaneamente. Pertanto, esse sono frutto dell’azione del capitale internalizzato nel vivente (“capital-in-nature”, ndr), espresse e spinte dalla legge di valore; allo stesso tempo però possono costituire barriere alla continua accumulazione capitalistica.
Dunque l’emergere di limiti di valore negativo, che causano, da un lato, difficoltà al modello capitalistico nella sua ricerca di nuove frontiere di cui appropriarsi e poi sfruttare, e dall’altro fanno esplodere le molteplici contraddizioni che investono il modo di organizzare il vivente, può aprire spazi interessanti in cui fare breccia per mettere in discussione e abbattere questo modello che svilisce, degrada e uccide il vivente. Questi spazi sono proprio le contraddizioni intrinseche a tale sistema. La destabilizzazione generata dai limiti di valore negativo rende possibile l’ideazione e l’applicazione di nuove, emancipatorie ed egualitarie forme di organizzazione del vivente, così come incoraggia l’adozione di nuove visioni ontologiche che eliminino il dualismo Natura/Società e rimuovano la legge di valore dal vivente.

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