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Università e crisi pandemica

In questo momento in cui la crisi sistemica dettata dallo scatenarsi della pandemia ha sconquassato ogni livello del conoscente e del mondo reale, anche l’università è sottoposta ad una forte ristrutturazione. Le motivazioni, partendo dalle più evidenti e quasi banali, derivano dall’impossibilità di condurre l’attività didattica secondo i noti canoni. Per via del distanziamento sociale, anche l’università ha adottato nuove modalità.

Chiunque frequenti l’Unibo avrà sicuramente ricevuto più mail firmate da Ubertini in cui con toni gaudenti il rettore non fa che vantarsi dei risultai ottenuti. Stiamo affrontando dall’inizio della quarantena da covid tutti i disagi derivanti dalla rimodulazione della didattica e dall’impostazione a distanza: lezioni ed esami online su piattaforme come microsoft teams, lauree discusse con le medesime modalità o addirittura per telefono, slittamenti delle sessioni di laurea perchè impossibilitati a concludere il percorso formativo, tirocini saltati. E tutto ciò non viene citato nemmeno una volta nelle tante mail che la governance universitaria manda al corpo studentesco. Mai un accenno a ciò che una studentessa o studente sta vivendo sulla propria pelle. E non ci meravigliamo che questo non succeda, all’amministrazione universitaria la reale condizione di precarietà di chi frequenta l’università non è mai interessata e mai è stata una loro priorità. L’unica briciola che hanno pensato di concederci è stato di ritardare il pagamento della rata universitaria di un mese, anziché pagarlo nel mese corrente.

Quello che sfugge e che non è rilevante per chi crede di gestire in maniera eccelsa l’università in questi tempi di pandemia è che chi subisce la condizione di disagio e di precarietà sono le stesse persone che stanno sostenendo esami tramite piattaforme online, studentesse e studenti che hanno discusso la propria laurea dalla propria stanza in affitto o tramite il wi-fi di uno studentato, luoghi in cui la paranoia corona virus e gestione di esso ha generato un contraddittorio talmente assurdo che ha scatenato il panico in tanti spazi gestiti da er.Go nella nostra città. [qui la querelle tra studentato, er.Go e testimonianze a riguardo]

Siamo gli stessi che prima avevano difficoltà ad arrivare a fine mese, che ci mantenevamo con lavori in nero, il più delle volte precari, magari facendo part-time in un ristorante, consegnando pizze come rider, lavori che a fatica prima riuscivano a darci un sostegno economico per una vita dignitosa e che ora, con le misure di restrizioni dovute alla quarantena, sono venuti a mancare all’improvviso, lasciandoci senza alcuna certezza per il nostro futuro.

Non siamo stupiti che l’università non spenda nemmeno una parola circa l’enorme frustrazione che una studentessa o uno studente debba provare in questo periodo, in cui il proprio percorso viene rallentato o addirittura interrotto perchè mancano i soldi e i mezzi per poterlo portare avanti. Siamo stanche e stanchi di non essere ascoltati e di fare comodo all’opinione pubblica solo quando forniamo la notizia scandalo di un sabato sera, quando tanti ragazzi come noi, spaventati dal rimanere allontanati dalla propria famiglia per chissà quanto tempo, hanno deciso di prendere un treno per non aggravare la propria situazione di precarietà, garantendosi almeno un sostentamento dignitoso. Siamo stufi della retorica patinata con cui le istituzioni si riempiono la bocca, garantendo chissà quale miglioramento per la condizione di chi sta affrontando questo periodo di difficoltà.

La verità è che la pandemia non è altro che il vaso di pandora che ha scoperchiato e messo ancora più in luce le disuguaglianze sociali esistenti nel nostro paese.
Come studentesse e studenti denunciamo le svendimento dell’università pubblica tramite riforme della istruzione volte alla privatizzazione degli spazi universitari e della ricerca accademica, dove la governance anziché impegnarsi a sostenere chi sta pagando gli effetti della crisi mantiene accordi e lauree magistrali in collaborazione con l’Eni, fra i principali investitori in Egitto il cui governo è reo di aver arrestato e torturato Patrick Zaky, uno studente della nostra città dal 7 febbraio detenuto ingiustamente in un carcere egiziano, accusato di aver espresso delle posizioni politicamente scomode al regime.

Non vogliamo accontentarci delle vostre briciole e mai ci accontenteremo.
Per contrastare la crisi che stiamo subendo e che non si riassorbirà con l’interrompersi della quarantena ma, anzi, acuirà le sue conseguenze su quelle fette di popolazione senza garanzie né sicurezze economiche, crediamo sia necessario guardare ai nostri reali bisogni ed esigenze, andando ad inchiestare le diverse condizioni di precarietà e disagio per poterci organizzare tutte e tutti insieme e provare a bucare la gabbia della distanza sociale e dell’isolamento.
E lo faremo al fianco di tutte le precarie e i precari, studenti e studentesse che credono fermamente che un cambiamento sociale è, oltre che prevedibile, fortemente necessario perché, come dice uno slogan del movimento cileno in rivolta, “no volveremos a la normalidad porque la normalidad era el problema” (non torneremo alla normalità perché la normalità era il problema).

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