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“In ogni caso nessun rimorso” – Pino Cacucci

“In ogni caso nessun rimorso” di Pino Cacucci è un romanzo che ricostruisce accuratamente la storia della Banda Bonnot (intrecciandola alle vicende dell’Europa di inizio Novecento) attraverso lo sguardo di Jules Bonnot. Come dice l’autore stesso nella nota riportata qua sopra, la Storia con la “S” maiuscola, quella che si studia sui libri di testo e che viene riportata nelle aule universitarie, è la Storia del potere, la Storia dei vincitori, la Storia scritta dal capitale che parla solo di sé stesso, qua in Europa è la Storia dei grandi uomini bianchi ricchi e potenti, immagine di ciò cui dobbiamo ambire. La storia raccontata in questo romanzo, invece, è la storia degli ultimi, degli oppressi, degli sfruttati, degli umili, dei perdenti, è la storia degli incazzati, di coloro cui viene tolto tutto e rimangono con nulla in mano e in petto solamente odio e desiderio di vendetta, di rivincita, di riscatto: questo romanzo racconta la storia ignorata dai libri, cancellata dal capitale, dimenticata dai più. Racconta la storia dell’odio incondizionato e furioso che si accende davanti all’ingiustizia, odio mosso da amore, odio mosso dal desiderio di vivere e riappropriarsi della vita, odio mosso dalla pulsione verso il giusto, il vero.

“Per l’amor del cielo. Chissà se c’era davvero amore in cielo. Perché sulla terra, tu lo sapevi, era rimasto spazio solo per l’odio. Quanto odio può contenere un cuore Jules? Tu credevi di aver raggiunto il culmine fino a pochi attimi prima. E adesso scoprivi che di posto, per l’odio, ce n’era sempre a dismisura, una immensità di odio vasto quanto l’universo. Era infinito l’odio. Solo l’amore… solo l’amore ha limiti.”

Nel pessimismo assoluto che in alcuni momenti aleggia tra le pagine del libro, nei gesti dei protagonisti, l’odio non è mai desiderio di morte ma sempre irrefrenabile spinta verso la vita, verso una possibilità di vita (anche se a costo della vita stessa): vita che meriti di essere vissuta, vita degna, libera, anche per chi, come i protagonisti di questo libro, ha marchiato a fuoco sulla pelle, fin dalla nascita, il segno della miseria.

Questo libro si articola nella narrazione della vita, segnata costantemente da sventure e ingiustizie, di Jules Bonnot, che nel corso della storia veste sempre panni diversi (figlio, operaio, militare, marito, meccanico, autista, rapinatore, anarchico illegalista) rimanendo però fedele a sé stesso, incapace di chinare il capo di fronte alle ingiustizie, incapace di tacere davanti ai soprusi, incapace di mettere la propria felicità e serenità davanti alla pulsione ribelle che lo porta a lottare, anche se forse spesso in modo scomposto, contro il sistema capitalistico borghese che opprime lui e tutti coloro che sono come lui. Ogni volta che il protagonista arriva a sfiorare una felicità possibile, lo stigma della miseria da cui è partito e delle scelte politiche che non ha mai smesso di fare, lo trascinano ancora più in basso del punto di partenza, e ogni volta ricominciare significa accettare un’ennesima sconfitta, abbracciare un’ennesima privazione, gonfiare ancora un po’ quell’odio profondo che lo alimenta.

Probabilmente uno degli aspetti più interessanti del romanzo è il modo in cui, quando nella prima parte del libro si parla degli scioperi nelle fabbriche, è descritto il conflitto interno che si viene a creare nel protagonista ogni volta che ha la possibilità di fare la scelta “migliore” (migliore secondo il sistema borghese, migliore per le sue condizioni economiche, il suo futuro, i suoi affetti) e opta invece sempre per la scelta “giusta” (non tradire, continuare a lottare, non abbassare la testa, non accettare in silenzio i soprusi): questo lo porta immancabilmente a sofferenze sempre più grandi, sconfitte sempre più pesanti, un odio sempre più forte. Insieme alla sua, viene raccontata l’impresa di un’intera classe. Non tutti coloro che lottano mettendo a rischio il posto di lavoro non hanno nulla da perdere: la maggior parte di loro ha molto da perdere (quel molto per chi ha tanto forse è pochissimo, ma, per chi non ha nulla, è tutto).

“(riferendosi ai figli di Vignon, ndr) “E che faranno se perdi il posto?”
Vignon si strinse nelle spalle, sospirando.
“Lo sa Iddio. Io so soltanto che se un giorno lavoreranno in fabbrica e non saranno trattati come carne da macello ma come uomini, con dignità e rispetto, questo dipenderà da che cosa siamo disposti a fare noi, oggi.”

L’autore riesce a creare un personaggio di potenza incredibile, ne descrive in mille sfaccettature i desideri insieme alla rabbia, l’amore insieme all’odio, la vita insieme alla morte (sua e di chi come lui nella società non può definire davvero vita quella che deve condurre, “scontare”). Mette a paragone le possibilità e le ambizioni di una vita “normale” e normata e la solidarietà e la potenza collettiva di una vita “rivoluzionaria”.

Posto davanti a una scelta così difficile, come scegliere la cosa “giusta” rimanendo esattamente sé stesso e fedele ai suoi, piuttosto che abbandonarsi all’individualismo borghese e dimenticare ciò in cui crede?

Jules Bonnot è immagine di una classe che lotta con le unghie e con i denti per rimanere a galla, ma rappresenta anche il desiderio di riscatto da un sistema di merda, che dalla merda è alimentato e la merda produce.

“Avevo il diritto di viverla, quella felicità. Non me lo avete concesso. E allora, è stato peggio per me, peggio per voi, peggio per tutti… Dovrei rimpiangere quello che ho fatto? Forse. Ma non ho rimorsi.
Rimpianti sì, ma in ogni caso nessun rimorso…”

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