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“Essi vivono, noi dormiamo.” Di John Carpenter (1988)

Già dalla prima sequenza del film, nel quale il protagonista arriva in una squallida periferia americana e su un muro vediamo scritto il titolo del film, Carpenter ci immerge nel clima di scontro di classe con cui caratterizza questo film girato in piena epoca reaganaiana, nella quale già si stava dispiegando tutta la potenza distruttiva del capitale neoliberista.

In “Essi vivono” il cineasta americano approfondisce le tematiche sociali e politiche emerse fin dal suo esordio cinematografico “Distretto 13” e approfondite nei capolavori “1997: Fuga da New York” e “Il signore del male”, nei quali egli mette in scena la deflagrazione della società occidentale contemporanea in cui ogni ideale di umanità e fraternità tra gli uomini è schiacciato dall’imperativo capitalista del consumo che reprime i poveri e chi prova a contestarlo, servendosi dell’apparato poliziesco.

A volte quando guardo la tv mi dimentico la mia identità e mi sento improvvisamente l’eroina di una serie o la conduttrice di uno spettacolo. Guardo le mie foto sui giornali mentre scendo da una limousine. L’unica cosa che conta è diventare famosa. La gente mi guarda e mi adora! Io non invecchio mai, sono diventata immortale!” (Citazione dal film).

Se negli altri suoi film Carpenter aveva lasciato più di sfondo alla trama il tema politico, in questo lungometraggio del 1988 è la trama che rincorre la voglia del regista di dipingere ciò che per lui è diventata l’America di quegli anni. Il film racconta l’arrivo a Los Angeles di John in cerca di un lavoro dopo che una profonda crisi lo ha costretto ad emigrare da Denver dove era nato e cresciuto. Dopo essere stato scartato all’ufficio di collocamento egli riuscirà a trovare un lavoretto come operaio ed a integrarsi in una comunità di persone che, come lui, vivono ai margini della società e che nel vivere comunitario hanno creato un microcosmo sostenibile. Tale momento di stabilità non durerà a lungo in quanto la comunità subirà il devastante attacco repressivo della polizia, alla ricerca dei segreti contenuti all’interno della chiesa di riferimento della collettività in questione.

Siamo circondati da cose abbandonate, paesaggi senza alberi, davanti a noi ci sono le case di coloro che ci stanno sostituendo. Non abbiamo più identità. Siamo simili a dei robot. […] Stanno spegnendo la nostra voce.” (Citazione dal film).

Volendo evitare di scrivere una recensione contenente spoiler non mi dilungherò eccessivamente sulla trama, la quale vede un momento di svolta di tipo fantascientifico quando John prova un paio di occhiali trovati nella chiesa devastata dalla polizia, che in qualche modo gli permettono di cambiare il suo punto di vista sul mondo.

Il protagonista, fino a quel momento fervido inseguitore del “sogno americano”, credendo egli che il lavoro duro e lo stare lontano dai guai lo avrebbero prima o poi premiato dandogli accesso al benessere sociale, quando gli vengono aperti gli occhi sul vero aspetto della società quello che invece vede per prima cosa è l’invadenza della contenutistica subliminale del messaggio pubblicitario capace di veicolare solo messaggi invitanti al consumo e all’obbedienza all’ordine costituito. In seguito il film rivolge una pesante critica all’apparato poliziesco che il film rappresenta come un corpo organico al capitalismo dalla quale i più deboli devono difendersi, impegnato sola repressione violenta della marginalità sociale, anche attraverso droni il cui uso era stato in qualche modo preconizzato nel film. Memorabile, nel solo senso cinematografico si intende, la scena del vero e proprio sgombero della comunità nella quale una ruspa (si proprio lei) si fa largo devastando i pochi averi delle persone che vi abitando mentre la polizia carica e si lancia in pestaggi la cui realisticità ha ben pochi paragoni nella cinematografia (al regista di quello scempio di “ACAB” fischiano ancora le orecchie), facendo tornare in mente troppe tristi scene alle quali ci siamo dovuti abituare in questi anni.

“…se un secolo fa la gente avesse preso delle decisioni giuste… Oggi… Oggi il mondo sarebbe tutto diverso! Ma non è stato così, e comunque ormai è troppo tardi, abbiamo esaurito tutto! Siamo un cumulo di rifiuti tossici e sono loro la nostra alternativa! Gli abbiamo ceduto il nostro pianeta e loro ci trattano come polli da allevamento. Se ci dimostriamo docili, ci lasceranno in pace! Potremo assaporare anche noi le comodità e il benessere. In fondo le vuole ogni uomo, no?”

Ma, a differenza di quanto succede in un altro film di Carpenter “Il seme della follia” di qualche anno dopo nel quale il regista non lascia più alcuna speranza al genere umano, in questo “Essi vivono” è presente una comunità di persone “che hanno aperto gli occhi” e cercano di combattere la minaccia incombente sulla terra, che si serve del capitalismo per ghermire gli umani i quali per il benessere economico e la stabilità sociale si rendono capaci di svendere tutto ciò che hanno di più prezioso. Questa “resistenza” è formata dagli ultimi, i non necessari al processo produttivo, che diventano gli unici a capire che esistono valori ben più importanti del consumo e dell’accumulazione capitalistica e che la salvezza dell’ecologia terrestre e del genere umano può essere più importante persino della loro stessa vita.

E’ l’edonismo yuppie di quegli anni il nemico ultimo di questa pellicola, che si scaglia violentemente contro chi pensa di farcela da solo a discapito degli altri, attraverso la speculazione sfrenata che non si fa scrupoli nello schiacciare persone, affetti o paesaggi naturali per raggiungere il potere. Il regista, nonostante la pellicola abbia più di trent’anni ormai, sottolineava già come tale livello di sfruttamento stesse portando alla distruzione del nostro ecosistema e che solo un cambiamento drastico di modello economico potesse esserne la salvezza.

Non è certamente un caso che un regista come John Carpenter siano quasi vent’anni che non ottiene una grossa produzione cinematografica, la sua capacità di raccontare la società che noi viviamo, attraverso l’uso dei generi cinematografici più disparati nel corso della sua carriera, dalla commedia, all’horror, all’azione, riuscendo in ognuno a veicolare in modi più disparati la sua critica alla società contemporanea, lo ha certamente reso un personaggio scomodo in un presente nel quale il prodotto audiovisivo deve solamente intrattenere senza veicolare contenuti visti come “impegnativi” o “noiosi” per lo spettatore. Non è un caso che anche i registi più bravi finiscano a fare film su commissione senza la possibilità di final cut o che i film più artisticamente “impegnati” vengano visti dal solito circuito di spettatori legato ai premi della critica.

Negli Stati Uniti d’America la classe media sta lentamente scomparendo: ci sono sempre più poveri e sempre più ricchi. Penso che Essi vivono verrà visto in futuro come una delle poche voci d’indignazione in un periodo durante il quale tutti volevano due cose: vincere e fare soldi; tutto il resto era secondario.” (Citazione di John Carpenter sul film).

Un futuro di riappropriazione della cultura audiovisiva dovrà necessariamente passare per un riacquisto della capacità di raccontare il nostro presente, nelle sue contraddizioni e storture, con degli occhi che sappiano catturare l’attenzione di un pubblico ormai saturo di produzioni targettizate come avviene per la serialità televisiva. In essa ogni contenuto viene veicolato per una specifica fetta di pubblico e deve suscitare in esso delle “emozioni” ben specifiche e che comportino il fine ultimo per i produttori ossia la continuazione del “business” legato al ciò che di fatto questi prodotti sono ovvero brand commerciali, da sfruttare il più possibile. Per rompere questo schema è necessario da parte di “noi” inteso come pubblico riabituarci a guardare ciò che ci scorre davanti sullo schermo non nella sua superficie (trama, attori, ambientazione, musiche), che servono solo a distrarre la nostra attenzione, ma in quale può essere il racconto che tale prodotto vuol dare del mondo che ci circonda e di come spesso siamo più condizionati dall’advertising che lo presenta rispetto al contenuto vero e proprio.

È sul vedere il mondo in due modi diversi – normalmente e attraverso gli occhiali da sole, che mostrano la verità. Abbiamo girato ogni scena due volte; un gran dispendio di tempo; coprire un’intera strada di cartelloni pubblicitari con messaggi subliminali è stata una rottura di palle. Stranamente, però, la maggior parte delle persone non lo hanno notato, è questo è stato spaventoso. Soprattutto all’edicola, dove le copertine delle riviste sono state ricoperte con slogan, passavano senza prestare proprio alcuna attenzione.” (Citazione di John Carpenter sul film)

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