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Taranto: la normalizzazione del dolore e della morte

testimonianza e confronto tra esperienza tarantina e quella attuale del covid19, in termini di ricatto capitale-lavoro-natura e crisi ecologica.

Riportiamo la trascrizione del contributo di Michael Tortorella (studente fuori sede attivista del Comitato di quartiere Città Vecchia Taranto) portato lo scorso 10 aprile al ciclo di seminari “Pandemia: sintomi di una crisi ecologica globale”, interventi online per analizzare la crisi che stiamo attraversando secondo un’ottica ecologista.

Locandina di lancio del seminario online “Taranto: normalizzazione del dolore e della morte”

LA CRISI ECOLOGICA

L’attuale pandemia e le sue molteplici conseguenze irreversibili, stanno mostrando i limiti di un modello produttivo specificamente capitalista che ha sempre posto la logica del profitto, della ricerca infinita di sfruttamento di corpi e territori, per garantire la sua riproduzione allargata. In questi termini, la sostanziale differenza dalla precedente crisi economica del 2007-2008, è che questa è a tutti gli effetti una crisi della riproduzione sociale, ovvero una crisi ecologica, dove la capacità schizofrenica della società attuale di colonizzare il vivente in una fabbrica produttrice di sfruttamento, dolori e ricatti, è incompatibile con la salute fisica e mentale, umana e non umana.
Taranto da 55 anni resiste al suo virus, ovvero il concatenamento dei nostri corpi e del nostro territorio alla produzione dell’acciaio e all’imposizione del modello industriale pesante da cui ne consegue un duplice processo: da un lato abbiamo un processo di disciplinamento dei nostri corpi all’interiorizzazione delle malattie e patologie (tumori, malattie cardiovascolari, latte materno inquinato, endometriosi etc) e alla devastazione degli ecosistemi; dall’altro, abbiamo un tipo di narrazione, legittimata da un sistema produttivo-normativo e giuridico, che sancisce l’oppressione delle nostre esistenze e della nostra comunità, definendo un istituzionalizzazione e standardizzazione dello sfruttamento, del dolore e del lutto che va ad annullare e riconfigurare la quotidianità di noi tarantin*.

Confronto ricatto salute-capitale-natura con prospettiva Periferia-Centro

Ormai, sono evidenti le contraddizioni prodotte dal progetto neoliberista di realizzare un mondo-fabbrica, dove la legittimazione dello sfruttamento del ricatto salariale all’interno dell’industria, viene consolidato attraverso un processo di espropriazione ed estrazione di forza-lavoro gratuita, terre e risorse, dove il processo di urbanizzazione ed innovazione del Centro (inteso come luogo fisico e non dove avviene il processo di civilizzazione della società occidentale) è garantito dalla logica estrattivista sulla Periferia (Sud come luogo fisico e non fisico espropriato della sua storia e a cui viene lasciata soltanto la guerra tra pover* e la lotta alla sopravvivenza). Si può a questo punto affermare la dilagante disuguaglianza socio-economica tra Nord e Sud (in Italia come del resto del mondo) determinata dalla privazione della salute come diritto universale e dalla sua scellerata privatizzazione che ne sta conseguendo un collasso repentino del servizio sanitario facendo ricadere le conseguenze di questa crisi sugli ultimi e le ultime di questa piramide gerarchica basata su rapporti di sfruttamento e oppressione.

Confronto tra il privilegio dei Wind Days e Io Resto A casa: Forma e sostanza della sofferenza

I WIND DAYS di Taranto come il #IORESTOACASA (motto del DPCM ministeriale che ha decretato stato d’emergenza e zona rossa) sono provvedimenti giuridici che pur apparentemente passando per l’opinione pubblica come forma di tutela e chiamata di responsabilità collettiva alla prevenzione e alla precauzione, in realtà hanno l’obbiettivo di rendere invisibile la sofferenza di una parte di una comunità che è sempre più precaria e di un pianeta che cerca di resistere alle devastazioni provocate dai padroni.
Se quell’#ANDRATUTTOBENE apparentemente si pone come tentativo di assolvimento morale da qualche responsabilità di chi ha prodotto tutto ciò, in realtà vuole delegare le responsabilità politiche, sociali ed economiche alle individualità e alla comunità, attuando veri e propri meccanismi di sorveglianza e di auto-disciplinamento che vanno ulteriormente a limitare la libertà e a mettere completamente in discussione l’essenza del diritto, come elemento universale, che viene intermediato da elementi razzisti (riconoscimento dello status di cittadinanza), patriarcali (il mancato riconoscimento del lavoro di cura che ricade prevalentemente sulle soggettività femminili e sessualizzate) ed economiche (la narrazione nazionalista del lavoratore e lavoratrice che si sacrifica per il bene della Nazione). Entrambi i provvedimenti che educano all’auto-isolamento forzato, all’interiorizzazione del rischio e del dolore come un fattore ordinario e alla perdita di libertà come un atto di responsabilità, dimostrano come la logica del ricatto sociale legato a questo modo di produrre crea e, contemporaneamente nasconde molteplici forme di subalternità.
E’ Normale che a Taranto, nello stato d’emergenza attuale, non solo si cerca di abituarci a vivere in quartieri completamente devastati dall’inquinamento e dalle polveri sottili, obbligati quindi a chiudere persino le finestre, ma allo stesso tempo, rimanere auto-isolati, quando, nel frattempo l’industria continua a produrre a pieno regime, mettendo a rischio di contagio 5000 operai quotidianamente, continuando a produrre gabbie di fumi e tumori? E’ normale che Confindustria per incentivare l’apertura delle fabbriche come attività essenziali parli di depressione economica, mentre, da quando è iniziata la quarantena i casi di suicidio legati alla precarietà economica e, di conseguenza, emotiva sono aumentati?
In questi termini, partendo dall’esperienza tarantina, è evidente che la logica del capitale si pone come un esercizio sanguinario costante che relega una specifica parte dell’umanità all’esclusione sociale e al disastro ambientale e biologico, di cui le conseguenze irreversibili mutano il nostro contesto psico-fisico.


La standardizzazione e l’istituzionalizzazione del dolore che irrompe nella quotidianità e che facilita l’interiorizzazione del ricatto sociale che ingabbia le nostre esistenze e il nostro territorio, dove il tempo è scandito e determinato dai rapporti di sfruttamento prodotti all’interno della fabbrica e di oppressione al di fuori di essa sono strettamente interconnessi.

Non ritorneremo alla normalità, perché la normalità era il problema. Costruiamo nuovi mondi e immaginari

Le morti a causa di tumore e di plurime malattie causate dall’Ilva e quelle causate dagli effetti della pandemia, sono frutto della medesima violenza strutturale e sistemica, prodotta dal ricatto salute-lavoro-ambiente. Stiamo vivendo una fase epocale, una crisi che sta mostrando quanto questo sistema nella sua complessità concateni il privilegio di una specifica classe sociale (borghesia, finanza) e sia basato sulla sofferenza globale di quella subalterna.
In una fase di riconfigurazioni dei poteri, alla ricerca della ripresa del profitto, si apre uno scenario dove è fondamentale rimettere al centro del dibattito dei movimenti sociali, il forte desiderio di immaginare e costruire un nuovo mondo, una nuova concezione pluriversale del diritto che pone la prevenzione della salute umana e non umana al centro; una concezione di diritto che superi ogni barriera che produce sfruttamento, miseria e devastazione.
Non abituiamoci a questa nuova quotidianità dove, il contagio e le morti, divengono un semplice numero da controllare per comprendere quando arriverà il nostro momento di libertà “vigilata” o come un mero dato di statistica: il fallimento totale di questo sistema-mondo sta tutto qui: nella normalizzazione del rischio di morire per cause che riguardano il modo di produzione e non la vita stessa.
Non abituiamoci a quella narrazione in cui il nostro tempo viene scandito dall’incertezza, dalla precarietà e dalla sofferenza. Nulla tornerà come prima, consapevoli che gli scenari futuri possibili, ci chiamano inevitabilmente ad una presa di coscienza in cui dalla marginalità – spazio fisico e non, che è sempre stato etichettato come sacrificabile per il capitale – si possono costruire immaginari e prospettive di cambiamento partendo dalle nostre esperienze vissute. Riappropriandoci dei nostri corpi (connessi indissolubilmente con il Pianeta), possiamo costruire nuovi modi di essere, vivere e abitare, ripensando il modello produttivo a partire dal benessere sociale e di cura di tutto il vivente.

In una fase in cui ancora una volta, gli attori politici ed economici ripropongono l’assenza di immaginario (Non c’è alternativa), noi possiamo costruire processi politici all’altezza dei nostri bisogni e desideri, dove l’uguaglianza, la solidarietà e la condivisione della responsabilità di cura, possano essere le fondamenta di una rivendicazione di giustizia sociale globale.
Come, viene, evidenziato nella traduzione dell’articolo Di Rob Wallace e altri ricercatori (tradotto da Ecologia Politica Milano e pubblicato su InfoAut (https://www.infoaut.org/global-crisis/covid-19-e-i-circuiti-del-capitale?fbclid=IwAR3Gh7czzrY9PbpDRNDrYr7N1wwsC64YmAQ01YZQVyRvrJcktXoqJlMT-tg): “Abbiamo l’opportunità di una prossima grande transizione umana, abbandonare le ideologie dei coloni, reintrodurre l’umanità nei cicli di rigenerazione della Terra e riscoprire le nostre esistenze oltre lo Stato e il Capitale, smantellando le molteplici gerarchie di oppressione.”

Il ciclo di interventi “Pandemia: sintomi di una crisi ecologica globale” prosegue, questa settimana ci saranno altri due appuntamenti. Sarà possibile seguirli in diretta dalle pagine di ecologia politica organizzatrici, che condivideranno la diretta, oppure dal canale Youtube Ecologia Politica Network (https://www.youtube.com/channel/UCr9bVNqglajTBRmQ1l5ulnA). Tutti gli interventi si potranno vedere anche in differita.

Lunedì 27 aprile alle 18:30 “Occupazione militare in Sardegna ai tempi del Covid19: tra disastro sanitario, sociale e ambientale” con A Foras – contra s’ocupatzione militare de sa Sardigna.

Evento Facebook: https://facebook.com/events/s/pandemia_-occupazione-militare/481053582609819/?ti=icl

Locandina dell’appuntamento online di questa settimana
Pandemia #4
Occupazione militare in Sardegna ai tempi del Covid19: tra disastro sanitario, sociale e ambientale”

Mercoledì 29 aprile alle 18:00 “Covid19 e crisi ecologica globale. L’ecologia politica come chiave di lettura dell’epidemia, giustizia climatica e convergenza delle lotte, la transizione energetica nel post-pandemia.” Con Emanuele Leonardi (assegnista di ricerca presso il Centro de Estudos Sociais dell’Università di Coimbra. Ha conseguito il dottorato di ricerca presso la University of Western Ontario (Canada), con una tesi intitolata Biopolitics of Climate Change: Carbon Commodities, Environmental Profanations and the Lost Innocence of Use-Value. Conduce ricerche in particolare in due ambiti: le trasformazioni del lavoro nella società  contemporanea, l’ecologia politica, cioè l’intersezione tra la crisi ambientale e l’agire sociale di movimenti e istituzioni rispetto a essa.

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