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Obscene Talk – Giulia Zollino ep. 1

Ecco il podcast:

parte 1
parte 2

Per chi legge, segue la trascrizione:

  • Come coniughi il tuo essere antropologa, operatrice di strada ed educatrice sessuale? Se ti va, dacci un po’ una panoramica di quali sono i tuoi interessi e come comunicano tra loro.

Io arrivo da una formazione universitaria in antropologia, con una specializzazione nel campo delle migrazioni, però poi negli anni mi sono interessata sempre di più ai temi che riguardavano la sessualità e il lavoro sessuale. Quindi poi ho deciso di formarmi per fare educazione sessuale, ho fatto un corso a Firenze. Inizialmente mi sentivo molto frammentata, mi sembrava che queste cose non centrassero molto l’una con l’altra, poi ho capito che in realtà era così. L’antropologia sicuramente mi ha aiutata a comprendere la complessità del fenomeno e a formulare un approccio critico e non giudicante, l’educazione sessuale si è nel tempo poi configurata per me come un mezzo per arrivare ad uno dei miei obiettivi, la destigmatizzazione del lavoro sessuale. Credo che normalizzare questo lavoro passi anche attraverso la normalizzazione del sesso, quindi con l’educazione sessuale io mi occupo di fare laboratori di educazione sessuale sia con adolescenti, ma anche con persone adulte, e si fa anche questo: si lavora per fornire consapevolezza e anche dare una sensazione di normalità del sesso. In questo modo mi sembrano abbastanza collegate, e pian piano stanno ancora imparando a dialogare tra di loro.

  • Cos’è il sex work? Di cosa ti occupi tu in relazione a questo settore?

In senso stretto, “sex work” indica qualsiasi attività che prevede una prestazione erotica, sensuale, sessuale in cambio di una retribuzione economica. Quando diciamo “sex work” parliamo di tante cose, è un termine ombrello che racchiude tante forme, che vanno dalla prostituzione in strada, a quella indoor (centri massaggi, locali, appartamenti privati), dalla pornografia ai massaggi erotici, dalle cam alle chat erotiche, ai call center erotici, e anche alla vendita di materiale audiovisivo erotico o pornografico… Insomma, racchiude tantissime forme di lavoro sessuale ed è un termine che ha una storia importante, ha un significato politico: viene introdotto negli anni ’70 da Carol Leigh, che è un’artista, regista e attivista femminista che decide di utilizzare questo termine volendo dare dignità alle persone che lavoravano in questo settore. Il termine diventa poi di uso comune, alla fine degli anni ’80: in realtà in Italia arriva un po’ più tardi, negli anni ’90, e adesso è un termine che si utilizza molto e che io approvo. Ho sentito anche persone contrarie all’impiego di questo termine ma personalmente mi sembra abbastanza adeguato, se non altro perché ci specifica il fatto che si stia parlando di un lavoro, e questo molto spesso non ce lo ricordiamo, non se lo ricordano molte persone. Io in concreto io mi occupo di curare un profilo Instagram nel quale divulgo dei contenuti sul tema del sex work, ma soprattutto mi occupo di prostituzione su strada, facendo l’operatrice di strada: lavoro all’interno di un servizio che si chiama “Unità di strada”, che si occupa di fornire informazioni e supporto a livello sanitario, legale, psicologico e lavorativo, alle persone che lavorano in casa e in strada. Noi usciamo in macchina, contattiamo le persone che si prostituiscono in strada oppure contattiamo a livello telefonico quelle che pubblicano gli annunci sui siti d’incontri (e che quindi lavorano in casa) e presentiamo tutti i servizi che offriamo, principalmente legati all’ambito più sanitario.

  • Com’è regolamentata l’attività lavorativa sessuale? Che cos’è la legge Merlin e quali sono i suoi limiti?

Innanzitutto, diciamo che il lavoro sessuale non è regolamentato: in Italia abbiamo un modello che è chiamato abolizionista, introdotto con la legge Merlin nel 1958. Questa legge ha introdotto questo modello, che ha sostituito il modello del regolamentismo che c’era precedentemente. Quello abolizionista è un movimento che nasce in Inghilterra all’interno del movimento femminista alla fine dell’800 ed era un movimento di liberazione: si lottava contro tutte quelle misure del regolamentismo tradizionale che violavano in maniera notevole i diritti delle e dei sex worker. Il problema di questo modello è che, comunque, esprime un giudizio etico, morale: secondo il modello dell’abolizionismo la prostituzione non può essere una scelta, e l’obiettivo è che cessi di esistere… quello – inutile girarci intorno – è l’obiettivo. La Merlin non ci dice che la prostituzione sia illegale: l’accordo tra la lavoratrice o il lavoratore sessuale e il/la cliente non è criminalizzato. Ma la Merlin cosa fa? Introduce reati collaterali, reati di sfruttamento, di induzione, di favoreggiamento: il problema è che non è molto chiara. Che cos’è lo sfruttamento? Che cos’è favoreggiamento? Se, per esempio, io sono un tassista o una persona x e accompagno una persona a lavorare in strada sto “favoreggiando” l’attività prostitutiva. Questi reati, per quanto sia vero che la prostituzione non è illegale, impediscono spesso l’esercizio della prostituzione in sicurezza, quantomeno – anche condividere lo stesso appartamento con più lavoratrici è considerato un reato. Prima parlavamo di sfruttamento, ma che cos’è? Io ho sentito tante storie di persone che lavoravano qui in strada o in casa da tanti anni e magari decidevano di aiutare delle amiche rimaste nei loro paesi di origine, Perù, Romania o qualsiasi altro: le aiutavano ad organizzare il viaggio, poi la nuova arrivata veniva ospitata a casa della più vecchia che le insegnava il mestiere. Questo però com’è considerabile? È sfruttamento? Noi leggiamo queste dinamiche come sfruttamento ma dal punto di vista delle persone stesse non sono vissute in questo modo. Un altro limite della legge Merlin è che sia poco inclusiva, ci parla della prostituzione ma nei termini solo della prostituzione su strada, in casa… ma il resto? Chi vende contenuti, chi fa live show in cam, chi lavora nel porno? Andrebbe insomma ripensata e modificata per essere più inclusiva, in qualche modo.

  • Qual è lo stigma delle e dei sex worker, se esiste? Che cos’è nella fattispecie? Come cambia radicalmente la vita di chi lavora in questo ambito?

Lo stigma del lavoro sessuale è multidimensionale, agisce a vario livello, in varie direzioni e colpisce praticamente tutte le soggettività coinvolte. È prima di tutto esterno, cioè arriva dall’esterno e colpisce chi offre servizi sessuali ma anche chi compra servizi sessuali, e si esprime in discriminazione, in violenza, fisica ma anche verbale, simbolica, istituzionale. Lo stigma agisce anche all’interno dello stesso settore del mercato del sesso, cioè tra sex workers: si produce una sorta di gerarchia, dove – se immaginiamo il sex work come una piramide – all’ultimo posto c’è la prostituzione su strada solitamente, che viene maggiormente stigmatizzata rispetto a chi sta in cima a questa piramide – di solito le sugar babes o le attrici porno. Lo stigma si produce in maniera diversa e si produce una gerarchia: io che faccio cam non mi sento allo stesso livello di quella che fa la prostituta in strada. Spesso e volentieri sento persone dire “No io non mi prostituisco, non è mica prostituzione la mia”, per voler mettere una barriera e dire in qualche modo che “io sono meno puttana”, perché poi lo stigma della puttana è quello… ed è presente anche tra lavoratrici e lavoratori. Lo stigma viene anche interiorizzato: io, sex worker, mi giudico negativamente, perché so che dall’esterno quella cosa che sto facendo viene vista negativamente, e quindi io mi sento una merda, mi sento inferiore. Spesso ho sentito racconti di donne che lavorano in strada e che mi dicevano “Eh ma chi si metterebbe con me? Non sono una donna normale…”: non so se penserebbero la stessa cosa se in questo paese non ci fosse questo stigma che arriva dall’esterno. E lo stigma, di qualsiasi tipo, agisce moltissimo sulla vita delle persone e ha delle ripercussioni spesso importanti, ti costringe a vivere una doppia vita, spesso, e ad avere sempre paura di essere scopert_, molto spesso porta anche a non potersi raccontare, per paura di perdere un lavoro – magari lavori a scuola o hai una posizione importante in qualche organizzazione, e fai anche la sex worker… cosa fai? Lo dici? Non lo dici? – e questo doversi silenziare è molto violento, a mio parere.

Giulia Zollino è educatrice sessuale, operatrice di strada e cura un profilo di divulgazione su Instagram.
Nel 2012 scappa da un paesino bigotto del profondo Veneto per studiare Antropologia a Bologna. Qui è dove inizia il percorso di scoperta di sé e della sua sessualità, che la porta all’Educazione sessuale prima e al Sex Work poi.

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