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Testimonianza di M. – SPACEWARS

Segue la testimonianza di M., studente al quarto anno di scienze della formazione primaria che ha riscontrato, durante la pandemia, diversi problemi legati alla possibilità di accedere ai tirocini obbligatori previsti dalla sua facoltà. M., essendo bolognese, vive con la sua famiglia e non ha riscontrato molti dei problemi e dei disagi dei fuorisede, ma nonostante questo durante la pandemia non sono mancate le difficoltà nel barcamenarsi tra lezioni, laboratori e, soprattutto, tirocini.


“Per quanto riguarda le lezioni, nella mia facoltà la didattica a distanza è stata uno strumento utile sotto alcuni punti di vista, ha dato la possibilità anche a chi lavora e a chi sta lontano da qui (e da noi c’è tanta gente in questa situazione) di frequentare ugualmente – a maggior ragione a scienze della formazione, che vede tantissime ore obbligatorie, tra lezioni, laboratori e tirocini. Ovviamente con la DAD il rapporto, sia con i/le docenti che con colleghe e colleghi, non è lo stesso, ma tutto sommato le lezioni sono andate bene.
Inizialmente abbiamo avuto invece un po’ di problemi con i laboratori: quelli del terzo anno li abbiamo svolti online, a differenza di quelli del secondo che erano in presenza. La presenza però metteva e avrebbe messo molti e molte in difficoltà, c’era chi non poteva muoversi, chi faceva fatica, alcuni laboratori venivano cancellati all’ultimo e la gente che doveva spostarsi da fuori, prendendo il treno, si trovava ad essere a Bologna per niente, cosa che a maggior ragione in tempi di pandemia (sia per lo stare in città che per i rischi di prendere i mezzi pubblici) non è stata affatto simpatica. Alla fine, dopo un po’ questo problema si è risolto con la possibilità di una didattica mista che permettesse a chi voleva di frequentare anche online.”


“Il problema vero che abbiamo riscontrato in questo periodo nella nostra facoltà riguarda invece i tirocini.
Noi del quarto anno abbiamo, quest’anno, 180 ore di tirocinio obbligatorio (invece che le solite 150, perché dobbiamo anche recuperare il tirocinio dello scorso anno che non è stato possibile svolgere in presenza), mentre il quinto anno ha circa 200 ore. Chiaramente dove i tirocini sono stati rimandati, viene anche data la possibilità di finirli più tardi: lavorando all’interno delle scuole ovviamente c’è un limite di ore che si possono svolgere in un giorno (proprio a livello organizzativo non è possibile recuperare i tempi, le ore di scuola sono quelle), sempre per lo stesso motivo però non si può terminare più tardi di giugno, quando le scuole vengono chiuse. Noi del quarto anno avremmo dovuto cominciare a metà novembre ma quasi nessun* di noi ce l’ha fatta: anche io ancora non ho iniziato, dovrei cominciare a gennaio al ritorno dalle vacanze… Ovviamente finirò a giugno invece che ad aprile, però quantomeno possiamo iniziare.”


“Premetto quindi che quello dei tirocini è un impegno molto grosso e che per il tempo che è necessario investire è una parte preponderante nella vita di uno studente o studentessa: quest’anno l’organizzazione di queste attività è stata di molto rallentata, cosa che penso fosse normale in un periodo simile, ma la problematica vera l’abbiamo riscontrata nella grossa carenza di posti.
A causa della pandemia molte scuole non volevano tirocinanti, in particolare in centro ma anche fuori comune, nelle zone che sarebbero state comunque accessibili con i mezzi pubblici: i posti per i tirocini sia del quarto che del quinto anno erano quindi pochissimi, e molta gente si è trovata a non riuscire a trovare un posto. A scienze della formazione, i tirocini vengono svolti connettendosi alle scuole. L’Università chiede quali scuole vogliano aprire dei posti per i tirocinanti, per quale anno di corso e in quale tipo di scuola (per esempio: l’istituto comprensivo di San Lazzaro ha quattro scuole, dell’infanzia e primarie, e manda disponibilità di qualche posto per il quarto anno, qualche posto per il quinto, qualcuno per l’infanzia, qualcuno per la primaria ecc..): una volta concordati, i posti per i tirocini vengono caricati su studenti online e da lì noi possiamo mandare richiesta. Studenti e studentesse possono chiedere a delle scuole specifiche di aprire dei posti per i tirocini, ma non sono “ad personam”, la scuola non può fare richiesta di una persona specifica, ma si limitano ad essere caricati appunto sul sito, e solo da lì poi si può scegliere.
Il problema quest’anno è stato che essendoci scarsa possibilità di richiedere i tirocini, molta gente (anche chi aveva chiesto di aprire posti per il tirocinio in scuole specifiche, come avevo fatto io) si è trovata senza posto perché qualcun altr* lo aveva già preso. Ovviamente si sono lanciati tutt* per accaparrarsi i pochissimi posti disponibili, in particolare per il mio anno: iniziando prima i tirocini del quinto, la gente ancora non aveva un’idea precisa della carenza di posti prima dell’apertura delle richieste, invece noi del quarto anno, sapendo già della problematica, eravamo “prontad assaltare il sito non appena fosse possibile fare richiesta.

In questo contesto, nel quale studenti e studentesse si sono trovati praticamente costretti a concorrere tra loro per i pochi posti che erano disponibili, si dimostra ancora una volta la sproporzione tra le tasse che ci viene chiesto di pagare e i servizi che ci vengono realmente offerti. Se già pensiamo che l’Università dovrebbe essere gratuita per tutti e tutte, chiaramente risulta inaccettabile che ci venga chiesto, soprattutto in un periodo come questo, di pagare così tanto per avere accesso a così poco.

“Per un primo periodo ci siamo trovat, sia noi del quarto anno che quell* del quinto, ad avere pochissimi posti per i tirocini nelle scuole di Bologna, trovando invece delle possibilità in scuole molto più lontane e difficilmente raggiungibili. Si erano aperti posti per i tirocini in scuole sui colli bolognesi, fuori Bologna (intendo proprio fuori provincia…), molte in Romagna – e sempre in comuni sperduti e dove era difficile arrivare con i mezzi pubblici. A maggior ragione durante la pandemia, doversi spostare così tanto e così frequentemente sui mezzi pubblici non poteva essere fatto in tutta serenità, e questo non era l’unico problema. Altra problematica era anche quella del tempo, per arrivare alle 9 della mattina magari era necessario partire prestissimo per fare un viaggio di un’ora e mezza prima di arrivare nella scuola cui si era assegnat; anche il tempo per studiare era meno, e in una facoltà come la nostra in cui ci sono, come dicevo prima, tante ore anche di laboratori obbligatori e lezioni da seguire, ovviamente questo era poco conciliabile con tutto il resto. Altro problema è stata la scarsa disponibilità dei coordinatori del nostro corso, che non sempre si sono mostrati disposti ad ascoltarci, hanno fatto un paio di assemblee nelle quali si diceva solamente di aspettare e che il problema sarebbe stato risolto, alle nostre lamentele è stato risposto che era tutto normale e che anche nel nostro futuro lavorativo ci avrebbero potuti e potute mandare ovunque. Ovviamente una risposta simile non ha alcun senso, anche per la sostanziale differenza economica tra un lavoro stipendiato ed un tirocinio gratuito, dove chiaramente le spese per i mezzi pubblici e per gli spostamenti erano completamente a carico nostro: pare evidente che il paragone fosse un po’ azzardato. Arrivati ad oggi, ho sentito dire che molti dei problemi sono stati risolti, ma comunque nel frattempo sono passati un sacco di mesi. Alcuni tirocini più piccoli del secondo e del terzo anno sono stati rimandati e verso fine novembre molti problemi si stavano risolvendo, ovviamente ci è voluto un tanto tempo e numerose richieste da parte nostra, non sempre ascoltate.”

La testimonianza si conclude con un breve sguardo al mondo del lavoro e alla possibilità di sostentarsi nel momento in cui si frequenta l’università. Il mondo dell’università, nel tempo, è molto cambiato, e si è fatta sempre più sottile la distinzione tra la figura di studente e studentessa e la figura di lavoratore e lavoratrice. Oramai tantissimi e tantissime non riescono a frequentare l’università senza lavorare, Bologna è una città (evolutasi negli ultimi anni per diventare città del cibo e del turismo) inaccessibile, con un costo della vita sempre più alto, cui è difficile far fronte in particolare per i/le giovani, che siano student, lavorator* o entrambe, che hanno anche il desiderio di rendersi indipendenti. Le nostre generazioni sono state educate e formate alla precarietà, ad accettarla come condizione di normalità: essere precari e precarie però non può essere la norma, quella di scegliere l’indipendenza dalla propria famiglia dovrebbe essere una possibilità garantita, così come garantito a tutti e tutte dovrebbe essere il diritto allo studio, il diritto ad una università e una città accessibili realmente.


“Dal punto di vista del lavoro al di fuori dell’Università, la nostra facoltà penso sia caratterizzata da un discorso un po’ particolare. Nello specifico, è difficile poter lavorare facendo scienze della formazione: ci è stato, anche esplicitamente, detto molte volte che questa non è un’università per student-lavorator perché abbiamo tirocini obbligatori, laboratori obbligatori, tante ore di lezione e quindi in contemporanea lavorare diventa molto difficile. Ci viene proprio detto esplicitamente di non accettare incarichi di supplenze annuali (o simili) perché non vengono riconosciute come ore di tirocinio e quindi diventano difficili da conciliare con tutti gli impegni… Ci viene detto di concentrarci solo sullo studio, cosa che in alcuni casi fattibile, in altri… un po’ meno.”

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