Cosa succede in Afghanistan? – Guardare alla guerra con occhi e voci di donne e soggettività dissidenti

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Cosa succede in Afghanistan? – Guardare alla guerra con occhi e voci di donne e soggettività dissidenti

6 Ottobre, 2021 @ 5:00 pm - 11:30 pm

Out of Time Fest
All’interno del Festival della zona universitaria bolognese proponiamo incontri, dibattiti, socialità, cura collettiva e musica!

 

Cosa succede in Afghanistan? – Guardare alla guerra con occhi e voci di donne e soggettività dissidenti

È l’undici settembre 2001, il mondo è col fiato sospeso davanti alla tv, i palinsesti sono stati sospesi, tutti i programmi interrotti da edizioni straordinarie del telegiornale, gli Stati Uniti sono colpiti da un serie di attacchi terroristici, sotto la regia di Al-Qaeda, un’organizzazione terroristica.
Le vittime furono quasi tremila, tra soccorritori e civili.
A farne le spese non furono solo le vittime e i loro parenti, ma anche la comunità islamica internazionale, vittima di attacchi razziali e di una vera caccia alle streghe, col Patrioct Act, negli Stati Uniti, le misure di sicurezza e il potere in mano alle forze dell’ordine aumentò vertiginosamente.
Il peso maggiore di questi attacchi ricadde, però, sulle spalle deə cittadinə afghanə.

Il 7 ottobre 2001, ad un mese dall’attentato, nella più assoluta irregolarità, attaccarono, col supporto dell’esercito inglese, l’Afghanistan.
Da lì, il vuoto, i giornali hanno smesso di parlarne, l’Afghanistan veniva colpito dai bombardamenti, dilaniato da corruzione e dall’insicurezza, mentre lə civilə morivano come mosche, per la fame, le malattie e i servizi primari quasi del tutto assenti, nel silenzio assordante dei media occidentali.

L’Afghanistan ritorna ad essere protagonista dei telegiornali e delle notizie in tutto il mondo solo nel maggio 2021, quando Joe Biden, presidente degli Stati Uniti, assieme gli altri paesi della NATO, annuncia il ritiro delle truppe. Arriva immediata la risposta dei Talebani che ne approfittano e avanzano inesorabilmente, senza nessuna opposizione, la situazione precipita vertiginosamente il 14 agosto, con il loro ingresso a Kabul, il 19 viene proclamato l’Emirato Islamico di Afghanistan.
Davanti all’evidente fallimento dell’intervento militare, ormai chiaro agli occhi di chiunque, l’Afghanistan resta terra di scontro, divorato dalla guerra civile.

I telegiornali raccontano l’orrore della guerra, esaltando l’intervento dei pochi marines allora presenti, con immagini sensazionalistiche e di washing, cercando a tutti di costi di ripulire la loro immagine, ritraendoli con in braccio dei neonati, millantando un fantomatico impegno da parte delle forze statunitensi per il ricongiungimento familiare, mentre strappano i figli alle loro madri e armati di fucile ammazzano rifugiati che scappano da una guerra che loro hanno creato e che per vent’anni ha devastato una nazione. All’elogio delle forze militari statunitensi e non, i media internazionali spettacolarizzano e capitalizzano il dolore, la sofferenza e la morte, celeberrima l’immagine che ritrae diversi uomini cadere dagli aerei in volo nel disperato tentativo di salvarsi, cibo per gli occhi degli occidentali che provano pena verso chi è in guerra, col cuore carico di saviourism, proclamandosi salvatori e salvatrici del popolo afghano.
Strumentalizzano i corpi delle sorelle afghane, alimentando l’islamofobia, fenomeno già di per sé estremamente dilagante, con la pretesa di salvarle, in maniera particolarmente violenta e coloniale, privandole del loro velo, quando lo indossano, rappresentandole come creature indifesi, incapaci di difendersi e soprattutto di autodeterminarsi, strumentalizzando le foto delle donne completamente velate associandole a quelle di donne in minigonna durante l’invasione sovietica alla fine degli anni settanta, alimentando l’idea borghese che l’emancipazione passi unicamente solo ed attraverso l’abbigliamento.

Mentre i media cercano di ripulire l’immagine occidentale, diversi stati europei tremano all’idea di eventuali flussi migratori, contestando l’idea della Commissione europea di mettere un freno ai rimpatri dei profughi in fuga da una nazione in fiamme, scenario in cui ci si inserisce Erdogan, pronto a dettare le regole alla UE, in attesa di poter utilizzare i migranti come arma di ricatto.

Alla narrazione occidentale, carica di white saviourism e al suo vano tentativo di lavarsi le mani, proponiamo una narrazione della questione afghana priva di qualsiasi ottica coloniale, senza sovradeterminare le esperienze e il vissuto delle soggettività afghane, da sempre invisibilizzate e strumentalizzate, proponendo un sapere diverso, costruito dal basso, accessibile a chiunque.

Ne parliamo con Leila Belhadj Mohamed (attivista e femminista islamica)
Sveva Basirah Balzini (attivista e femminista islamica)
Raffaella Lamberti (Associazione Orlando Bologna)

A seguire Dj Set a cura di AnoAnoAnoWay

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