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Chtulucene: fare parenti, non figli! (Donna Haraway)

“No species, not even our own arrogant one pretending to be good individuals in so-called modern Western scripts, acts alone; assemblages of organic species and of abiotic actors make history, the evolutionary kind and the other kinds too.”

“Nessuna specie, nemmeno la nostra arrogante (specie), che finge di essere composta da bravi individui nei cosiddetti copioni moderni ed Occidentali, agisce da sola; assemblaggi di specie organiche e di attori abiotici fanno la storia, la specie evolutiva e anche altre specie (fanno la storia).”

Nel suo breve ma concettualmente rivoluzionario saggio “Anthropocene, Capitalocene, Plantationocene, Chthulucene: Making Kin”, Donna Haraway insiste sulla necessità di trovare un nuovo nome, all’interno del dibattito sulle forze geologiche che plasmano il vivente, che tenga conto e coinvolga tutti gli attori “sim-chtonici” (termine che deriva dall’antica religione greca, ad indicare divinità e spiriti sub-terranei), di cui gli umani sono parte, che agiscono nella corrente dinamica di potere, la cui posta in gioco è la continuità d’azione stessa di tali attori. L’Haraway chiama ciò Chtulucene, la cui radice dal greco antico significa ‘terra’ (khthon). Ma la Chtulucene, per come è intesa dalla Haraway, lega miriadi di temporalità e spazialità, così come miriadi di intra-attive entità in assemblaggio, incluse forme “più-che-umane”, “altro-umano”, “in-umano” e “umano-come-humus”. Secondo la Haraway solo attraverso un intenso impegno e lavoro collaborativo tra queste miriadi di soggetti sarà possibile che ricchi assemblaggi multi-specie fioriscano.
In questo contesto, proprio come ci dice la Haraway, abbiamo bisogno di storie (e teorie) che siano grandi abbastanza da raccogliere le complessità di ogni spazio-temporalità, tenendo i confini aperti per imbatterci in nuove e vecchie sorprendenti connessioni. In questo senso, è di fondamentale importanza unire le forze col fine di ricostituire rifugi che rendano possibile recupero e ricomposizione biologica, culturale, politica e tecnologica, seppur tale processo dovrà includere perdite irreversibili.

E qual è la forza sprigionata dal prendere consapevolezza della Chtulucene? In riferimento a ciò, secondo la Haraway, il concetto centrale che gravita attorno all’idea di Chtulucene è” “fare parenti, non figli”. Legando ecologia politica e cyber-femminismo, con questa potente affermazione vuole trasmettere la necessità di creare nuovi legami tra le miriadi di attori diversi, che superino i canonici concetti e legami di/tra genere e razza, ma soprattutto tra sesso, riproduzione e il processo di ‘composizione’ di tutti i soggetti. Quindi l’obiettivo è quello di fare parenti, nel senso di “qualcos’altro, qualcosa che va oltre i legami genealogici.” Perciò tali parenti non saranno necessariamente individui umani.
Questa ricomposizione parentale è permessa dal fatto che tutte le forme di vita terrestri sono parenti tra loro nel senso più profondo del termine, ovvero quello di derivazione batterica e fungina. È giunto il momento di riconoscere questi assemblaggi di soggetti imparentati, che simultaneamente hanno la potenzialità di distruggere il binarismo Natura-Società e fornire spunti, sia a livello di immaginario che di pratiche di lotta, per costruire una rete di soggetti multi-specie in grado di rispondere attivamente alle esistenti relazioni di dominazione.

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