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Voci dalla pandemia: Sud Italia, disabilità e didattica online

“La romanticizzazione della quarantena è un privilegio di classe.”

Voci dalla pandemia: Racconti dall’Italia e dal mondo
In un momento in cui la crisi pandemica riporta alla luce tutte le contraddizioni del sistema-mondo che conosciamo e che siamo costretti a vivere, istituzioni e governi rendono appetibile l’emergenza solo per determinati tipi di persone, escludendone molte altre.
La polvere sotto al tappeto comincia a sbucare in ogni dove. I tagli alla sanità pubblica fanno vacillare le narrazioni idilliache di un’economia neoliberista che tende in realtà alla privatizzazione e all’intensificazione delle disuguaglianze sociali.
Quello che ci proponiamo è di essere la voce collettiva di tutte le soggettività tagliate fuori dalla comodità e dalla sicurezza dell’emergenza. Vogliamo bucare la bolla temporale venutasi a creare attorno a questo specifico periodo che costituisce in realtà soltanto un picco di quella che è una crisi ecologia e sociale globale.

È sempre più chiaro ormai che il lockdown dell’intero pianeta per far fronte all’emergenza coronavirus, non ha fatto altro che evidenziare con prepotenza tutte le contraddizioni e le problematiche che, in un sistema ad alto tasso di sfruttamento di corpi e territori, erano finora rimaste latenti.

Parliamo di un sistema che quotidianamente tende all’esclusione di tutti quei soggetti che sono ‘fuori dagli schemi’: a chi importa se ci sono ragazzi e ragazze che non hanno una connessione internet o un computer? Se anziani e anziane non possono uscire di casa e muoiono di solitudine? Se al sud il tasso di lavoro nero è altissimo e non si riescono più a pagare gli affitti in mancanza di uno stipendio? Se una donna vive una situazione domestica di violenza quotidiana? Se studenti e studentesse fuorisede abitano in 6 in una casa alla modica cifra di 400 euro a persona? Se un operaio dovrà continuare a lavorare rischiando la salute sua e dei suoi familiari, nel nome della produzione e dello spostamento delle merci? Se stranieri e straniere non hanno documenti e non possono accedere a nessun tipo di welfare? Se i detenuti e le detenute vivono in 8 in una cella? O se un bambino disabile farà dei grossissimi passi indietro in mancanza di relazioni umane e di educatori ed educatrici che gli stanno vicino?

E molte altre sono le vite tagliate fuori dal sistema che anche in questo caso si dimostra a misura di uomo bianco, occidentale, cis-eteronormato e normodotato. Ovviamente dal portafogli bello pieno.

Nel profondo sud l’emergenza Covid-19 è una sorta di strano incubo lontano. Allo stesso tempo però in quei territori è forte la consapevolezza che se fosse una realtà consolidata (come in Lombardia) non ci sarebbe alcuna possibilità di affrontarla con l’adeguata prontezza.

Da decenni a questa parte la sanità pubblica è stata sacrificata nel nome dei malaffari tra politici e mafiosi. Sono decine e decine i poli ospedalieri minori che sono stati soppressi in questi anni, lasciando vuoti enormi in territori che già vivono numerose problematiche sociali. Queste piccole realtà, che a molti potranno sembrare di provincia, in Calabria costituiscono la maggior parte delle città.

Nel polo ospedaliero di Lamezia Terme, in provincia di Catanzaro, nel corso degli anni ambulatori e reparti sono stati chiusi con un frequenza quasi sistematica.

Quella che riportiamo di seguito è la voce di un’insegnante di sostegno lametina, Maria Anna, che lavora presso una scuola primaria di Catanzaro, capoluogo calabrese, cui quest’anno è stato affidato un bambino dallo spettro autistico molto grave, Antonio.
Antonio è un bambino che più di ogni altra cosa ha necessità di relazioni umane, che ovviamente la didattica online esclude.

Intervista a Maria Anna, insegnante di sostegno lametina

Quella di Maria Anna, di Antonio e della sua mamma è solo una delle tante storie, delle tante vite.
Problematiche come queste, infatti, non sono state minimamente tenute in considerazione da chi si occupa di gestire questa emergenza.

Ad essere venuta a mancare non è soltanto la scuola, che nel bene o nel male è per bambini e bambine come Antonio un importante luogo che permette loro di vivere accanto a persone tipiche, ma sono anche tutti gli altri luoghi di incontro e di cura che vengono attraversati quotidianamente, come ad esempio centri diurni per il sostegno che in questo momento sono chiusi.

La scuola e questi centri per persone con deficit cognitivi o fisici sono indispensabili per tutta una serie di ragioni, non ultima anche l’aiuto che questi enti offrono alle famiglie.
Nel caso di Antonio, per esempio, la cui mamma è una madre sola, straniera e con possibilità economiche limitate, era di vitale importanza l’esistenza di luoghi che potessero ospitare il bambino mentre lei andava a lavorare. Cosa oggi assolutamente impossibile.
Senza materiale didattico, senza contatto e senza strumenti alternativi la vita di chi ha delle disabilità è oggi più che mai accantonata nell’angolo delle problematiche troppo grosse da poter affrontare durante un’emergenza del genere.

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