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Obscene Talk – Giulia Zollino ep. 2

Ecco il podcast:

parte 1
parte 2

Per chi legge, segue la trascrizione:

· Abbiamo parlato dello stigma delle sex worker, ma volevamo chiederti anche se esiste e in cosa consista lo stigma de_ clienti e di come spesso, nella concezione comune, si pensa che il cliente oggettifichi il corpo di chi lavora in questo settore? Pensi che questo sia uno stigma, o comunque uno stereotipo, infondato?

Assolutamente lo stigma colpisce anche la cliente e il cliente, di più il cliente. Ho scritto da poco un articolo sulla Camera di Valentina che abbiamo chiamato provocatoriamente “Il cliente non esiste”: così come non esiste la sex worker o il sex worker “tipo”, non c’è nemmeno il cliente “tipo”. Il cliente o la cliente è una persona: non è per forza uomo, non è per forza brutto, non è per forza vecchio, schifoso, porco… Sono persone normali quelle che fanno la domanda: quindi c’è la persona con poca consapevolezza, c’è la persona che oggettifica, che non pensa che quello sia un lavoro, ma c’è anche la persona che ha piena consapevolezza del fatto di stare acquistando un servizio sessuale e non una persona. Il problema di criminalizzare il cliente è che lo immaginiamo come un carnefice: ma se c’è un carnefice, c’è per forza una vittima, in questo caso la sex worker, donna ovviamente. C’è anche un mito dell’oggettificazione, spesso si sentono discorsi per cui “Ah il cliente paga quindi poi ha il potere di fare ciò che vuole con quel corpo, la sex worker poverina deve fare quello che il cliente dice”… No! La lavoratrice sessuale è una persona, ha una soggettività e non è in balia dei desideri di un cliente, che “dato che paga ha diritto a tutto”… No, la sex worker o il sex worker hanno dei desideri, delle preferenze, pongono dei limiti, stabiliscono che cosa fare e che cosa non fare.

· Adesso vorremmo invece parlare dell’educazione sessuale nelle scuole: in qualche modo questa può aiutare, nell’ambito della formazione, ad abbattere tutto il velo degli stereotipi, degli stigmi, dei tabù, dei miti riguardo il lavoro sessuale?

Si, assolutamente. Io mi sono trovata in varie circostanze a parlare di lavoro sessuale a scuola, poiché, anche se non era il tema principale, usciva sempre fuori. Lo stigma della “puttana” era sempre presente, e anche la svalutazione di chi fa quel mestiere: credo sia doveroso includere il sex work nei percorsi di educazione sessuale, poiché è una delle espressioni e delle funzioni della sessualità ed è inutile negarla. Soprattutto, come dicevo all’inizio, credo che l’educazione sessuale ci possa aiutare ad educare delle menti più libere, meno intimorite di fronte alla sessualità, meno sessuofobiche e quindi non stigmatizzanti verso il lavoro sessuale. Molto dello stigma è derivato dalla nostra cultura, che è sessuofobica: abbiamo un problema con il sesso, mi sembra evidente, e quindi la mia speranza è che facendo educazione sessuale, promuovendo la salute sessuale, il benessere e normalizzando il piacere, la sessualità, il desiderio, il corpo, si possa in qualche modo normalizzare anche il lavoro sessuale.

· Ora forse facciamo un piccolo passo indietro: ti chiediamo quali sono le dinamiche di sfruttamento che si palesano in questo settore? Cosa deve affrontare la o il sex worker?

Se non ci sono tutele, se non ci sono diritti, è più facile che si instaurino delle dinamiche di sfruttamento: è tuttavia importante ricordare che lo sfruttamento interessa qualsiasi ambito lavorativo ed è importante riflettere su quello che riteniamo sfruttamento (pensiamo all’esempio che facevo prima sulla donna

peruviana). Dobbiamo prendere in considerazione, secondo me, il punto di vista emico più che quello etico.
Io credo che le ingiustizie più grandi che devono affrontare le lavoratrici e i lavoratori sessuali siano derivate dalla legge, dalla legge sulla prostituzione e anche dalle politiche migratorie, e sono tantissime. In primis, non lavorare in maniera sicura, rischiare di essere derubate mentre si sta lavorando, di essere molestate, ma anche non avere una pensione… Queste cose però si producono a causa della nostra legge. Rispetto al discorso dello sfruttamento, senz’altro ci sono dei casi di sfruttamento di terze persone, anche se dobbiamo un po’ uscire dalla retorica del pappone stronzo, bastardo, che sfrutta la povera donna: ci sono, tra gli attori sociali del mercato del sesso, degli intermediari, delle figure terze che in un certo senso aiutano, sostengono – anche con dinamiche di sfruttamento – ma io credo che vada fatta una riflessione ulteriore. Va bene criminalizzare lo sfruttamento, va bene criminalizzare la tratta, però ci vuole anche un ragionamento su questo, dobbiamo interrogarci molto secondo me.

· In che modo lavorare in questo settore può far instaurare un rapporto privilegiato con il proprio corpo? C’è un’esplorazione del proprio corpo, della propria intimità, che si può dare anche nei termini lavorativi? Pensi che esista? In quali forme si dà?

A me viene in mente subito una parola: empowerment. Il lavoro sessuale per molte persone è empowerment, perché ti porta a scoprire, riscoprire, il tuo corpo, la tua sessualità, a imparare a giocare. Ne abbiamo parlato nel nuovo numero di Frisson, rivista femminista, magazine indipendente del quale siamo ora al terzo numero: al suo interno c’è una rubrica sul sex work e abbiamo parlato proprio di questo. Abbiamo raccontato la storia di una lavoratrice che si è riscoperta, ha riscoperto il suo corpo, ha imparato ad accettare e ad amare il suo corpo proprio grazie al sex work: è stata, in qualche modo, salvata dal sex work. C’è sempre un po’ l’immagine della sex worker che viene salvata da qualcun altro… in questo caso si è salvata da sola, tramite il sex work. Quindi può sicuramente essere un modo per scoprire la propria intimità.

Giulia Zollino è educatrice sessuale, operatrice di strada e cura un profilo di divulgazione su Instagram.
Nel 2012 scappa da un paesino bigotto del profondo Veneto per studiare Antropologia a Bologna. Qui è dove inizia il percorso di scoperta di sé e della sua sessualità, che la porta all’Educazione sessuale prima e al Sex Work poi.

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