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Aborto e libertà individuali

Dalla Polonia all’Italia, la strada da percorrere è ancora lunga

Le manifestazioni polacche delle scorse settimane hanno riportato al centro del dibattito pubblico il diritto all’aborto e sono state capaci di leggere la strutturalità di questo attacco, andando a individuare ancora una volta come nemico i governi conservatori tutti e il sistema patriarcale in cui viviamo: la grande forza espressa dai movimenti femministi risiede proprio nelle capacità di porre al centro delle lotte una critica strutturale al sistema per la liberazione di corpi e territori.

E’ notizia del 22 ottobre che la corte costituzionale polacca ha deciso che l’aborto per malformazione del feto sarebbe stato eliminato, ma già prima della sentenza della cassazione la libertà e la possibilità di autodeterminazione delle donne erano fortemente limitate. Si può interrompere la gravidanza solo in caso di stupro, pericolo di vita e per malformazioni del feto, obbligando così tantissime donne ad abortire in maniera clandestina e non sicura. La negazione del diritto all’aborto, oltre a costituire un gravissimo attacco alle libertà individuali, non porterà neanche alla scomparsa dell’interruzione volontaria di gravidanza, ma ne aumenterà la clandestinità e la pericolosità a livello sanitario.

Inoltre diventerà appannaggio di poche riuscire ad effettuare un intervento in condizioni igienico sanitarie adeguate, in quanto questa possibilità sarà fornita solamente da strutture private, il cui accesso sarà determinato dalla condizione di reddito di chi ne usufruirà.

In risposta a tutto ciò il 30 ottobre solo a Varsavia sono scese in piazza più di centomila persone che hanno dato vita ad uno stato d’agitazione, mettendo alle strette il premier conservatore Mateusz  Moraweicki, che ha deciso di rimandare l’applicazione della sentenza della corte.   

La messa in discussione del diritto all’aborto riporta alla luce tutta una serie di problematiche legate alla salute, all’accesso ad essa, alla libertà dei corpi e alla loro autodeterminazione. 

Nel momento di crisi sanitaria che stiamo attraversando è possibile notare come stiano passando totalmente in secondo piano tutti quei servizi che riguardano la sfera della salute fisica delle donne.  

Nonostante in Emilia-Romagna l’accesso alla contraccezione e all’aborto siano garanti a livello istituzionale, durante la pandemia parte di questi sono stati rimandati o addirittura sospesi. A prescindere da questo anche in condizioni “normali” dovrebbe essere accessibile per tutte in qualsiasi momento la fruizione di questi servizi, troppo spesso resa difficile  viste le complesse e lunghe procedure burocratiche previste per chiunque voglia accedervi e determinate inoltre dallo status di residenza e civile in generale.

Nonostante Il Ministero della Salute lo scorso 8 agosto abbia finalmente cambiato (e aggiornato) le linee guida per la somministrazione e l’accesso alla RU486, conosciuta anche come “pillola abortiva”, mancano invece ancora linee chiare per l’attuazione dell’aborto farmacologico. 

Solo qualche settimana fa la regione Piemonte, senza alcuna discussione preliminare, ha  diramato una circolare che rafforza l’ingresso negli ospedali delle associazioni anti-abortiste e che mette in discussione le linee guida del ministero della salute inerenti alla somministrazione della pillola abortiva ru486 nei consultori. Contro questa ordinanza regionale, centinaia di persone sono scese in piazza il 31 ottobre sotto la sede della regione Piemonte a Torino per difendere il diritto ad un aborto libero e sicuro. 

Un altro aspetto fondamentale per un ripensamento dell’approccio medico in questo ambito è quello riguardante l’obiezione di coscienza e l’ambiente fortemente giudicante a cui le donne che vogliono accedere a questi servizi devono far fronte.  Tutto ciò fa parte di una cultura e una società in cui lo stigma della sessualità, della contraccezione e dell’interruzione di gravidanza esiste tuttora, perpetrato e inculcato in ognun* fin dai primi anni di vita, passando per l’istruzione e gli ambienti in cui si cresce. 

Questi nuovi attacchi al diritto all’aborto e le proteste che ne sono scaturite palesano una necessità impellente: non è più rimandabile una critica profonda ai sistemi sanitari tout court, una riconcettualizzazione della salute, intesa anche come autodeterminazione e riconoscimento dei corpi e la necessità di un reddito di base incondizionato e universale che renda accessibile a tutt* una vita degna e un ambiente salubre in cui vivere e curarsi. 

Una sanità pubblica e di prossimità che sia realmente capillare, efficace e anche autogestita non deve essere più qualcosa di lontano ed inimmaginabile, ma obiettivo reale che ci poniamo davanti per poter far fronte alla crisi sanitaria che stiamo attraversando. Un sistema sanitario nazionale al collasso che a stento riesce a fronteggiare una pandemia globale, che ha subito tagli negli ultimi decenni sull’altare sacrificale della privatizzazione e che è costretto a porre in secondo piano tutto ciò che riguarda aspetti altri della cura collettiva, come ad esempio accesso alla contraccezione e all’aborto, non è un qualcosa da assumere come la normalità.

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