Abbiamo visto The Bold Type e ce ne siamo innamoratə pazzamente! Negli ultimi anni, sono state prodotte tantissime serie tv, e molte di queste sono “femministe”, coltivano e propongono sguardi sul mondo meno legati allo stereotipo, inventano personaggi che attraverso lunghi percorsi giungono ad autodeterminarsi, parlano di sesso e sessualità in un modo più esplicito ed empowerante rispetto al passato, si arricchiscono presentando soggettività che fino a qualche tempo fa erano invisibili. Io appartengo alla generazione che ha passato l’adolescenza in compagnia di Gossip Girl, Pretty Little Liars, Mean Girls e così via; appartengo alla generazione senza strumenti di lettura del proprio corpo, cresciuta senza un’idea di cosa fosse piacere, senza consapevolezza delle possibilità e della moltitudine di identità e desideri. Appartengo alla generazione costruita e normata da modelli di relazione tossici, dall’invisibilità del piacere femminile: siamo cresciutə non tanto scoprendoci da solə quanto piuttosto scoprendo da solə di poterci, doverci e volerci scoprire. Davanti ai vari The Bold Type, Sex Education, Thirteen Reasons Why e via discorrendo, non possiamo che essere colpitə in profondità, affascinatə, felici della possibilità che oggi, a differenza di qualche anno fa, è offerta allə adolescenti di guardare al mondo e soprattutto a sé stessə in maniera differente. Adesso nelle serie tv ci sono tante risposte. Tante cose che noi abbiamo dovuto cercare in silenzio, con tutto il dolore, le cicatrici, le ferite aperte che quei dubbi e quella ricerca ci ha lasciato, ora anche attraverso la serialità mainstream sono collettivizzate, condivise, visibili. Non era così accessibile, su Netflix spaparanzatə sul divano, un modello meno tossico, e più femminista, di rapportarci all’esterno di noi, di guardare al nostro godimento, al nostro orgasmo, al nostro sesso, alla sessualità, all’identità di genere. Siamo statə formatə e costruitə da pugnalate alle spalle, dinamiche di potere, personaggi femminili stereotipati, forme di relazione eteronormate, monogame, possessive; dall’assoluta e incontrastabile fallocentricità di ogni scopata che giunge al culmine con l’eiaculazione maschile. Noi, donne, corpi dissidenti, soggettività non conformi, frocie, queer, puttane, siamo statə invisibili, ai margini, dimenticatə (anche da noi stesse), ridicolizzatə o disprezzatə: il nostro piacere, la nostra identità, la nostra bellezza mostruosa non ha avuto spazio, non ha avuto tempo, non ha avuto legittimità. The Bold Type – raccontando la storia di tre millenials che lavorano e si fanno strada a Scarlet Magazine, rivista “femminile” di New York – rompe in una sola volta mille di queste barriere. Attraverso le tre protagoniste e la loro caporedattrice, guida, madre putativa, iniziamo un percorso anche dentro noi stessə. In una serie di formazione e scoperta del corpo, dell’identità e della scelta, viaggiamo insieme a queste tre giovani donne che si autodeterminano, puntata per puntata, alla scoperta del mondo delle relazioni, dei loro corpi, dei loro desideri. Su uno schermo abbiamo l’occasione finalmente di sentirci meno solə, più compresə, di trovare i nostri dubbi e le nostre contraddizioni messi a nudo, di saperli condivisi, di dare loro un nome. Ogni episodio racconta una storia diversa: si parla di violenza e di dominio sulla linea di genere, di piacere e masturbazione femminile. Viene eliminato il cazzo dal centro dello sguardo e sono messe sul piatto insicurezze e paure nel mondo della sessualità. Si ipotizzano relazioni più aperte, si guarda ai nodi irrisolti dell’essere donne e frocie, e li si affronta; per noi Jane Sloan, Sutton Brady e Kat Edison sono sorelle maggiori, impariamo nei loro errori e nelle loro esperienze, ci identifichiamo nelle loro avventure. Con l’andare avanti della storia, Jane apre la sua rubrica nella rivista Scarlet, la “Cattiva Femminista”, nella quale mette a nudo le sue contraddizioni, racconta la messa in discussione (che non sempre riesce) dei tanti punti della nostra vita normati dal patriarcato: il motivo per cui, però, Jane Sloan è per noi una cattiva femminista, è che nel suo femminismo manca l’intersezionalità, manca l’anticapitalismo e mancano le lotte. Nonostante il potenziale che The Bold Type (e tante altre serie come questa) ha di essere punto di riferimento in un periodo di dubbi laceranti e grandi difficoltà a scoprirci ed autodeterminarci come donne in questo mondo, sacrifica sull’altare della produttività la spinta possibile ad un cambiamento reale, che può esistere solo nella lotta collettiva. Questa bella serie non rompe con il sistema dominante, affronta il patriarcato senza essere scomoda, parla di una oppressione senza volerle sovvertire tutte: racconta l’emancipazione attraverso il lavoro, la creatività messa al servizio del profitto, il fare carriera come ambizione, la realizzazione ma solo nel capitalismo. Da tanto tempo ci troviamo a parlare di pinkwashing, del modo in cui il capitalismo eteorpatriarcale finga interesse e sensibilità nei confronti di tematiche che riguardano le donne e la comunità LGBTQ+ senza averle realmente a cuore; nell’evolversi però del sistema in cui siamo inseritə, forse questa definizione non è più abbastanza. Quella “pink” non è più la nuova faccia di cui il capitalismo si dota, ma molte delle istanze femministe sono state scientificamente sussunte dalla meccanica sistemica come suoi ingranaggi. E dove l’unico modo per stare bene essendo donna nel mondo è essere donna in carriera, imprenditrice di sé stessa, in costante competizione, producendo per il sistema stesso che ci vuole oppressə, noi non vediamo libertà, solo un’ennesima oppressione contro cui – per quanto è ben mascherata – è ancora più difficile lottare. Ma non solo questo. La soggettività che si costruisce “contro” ma unicamente nell’individualità, non riesce ad essere davvero sovversiva: sono fondamentali nelle nostre vite quei tanti stimoli che attraverso uno schermo ci fanno sentire meno solə. Imparare ad esplorare, accettare, amare il nostro corpo è già azione politica; è fondamentale lavorare su questo, ognunə nel suo piccolo spazietto di mondo. Ma il cambiamento non sta nellə singolə, non è gesto individuale; noi non andiamo bene “anche se” o “nonostante”. Il problema è ciò che abbiamo intorno, la società in cui siamo inseritə, immersə, da cui siamo educatə alla “normalità” (magra, bianca, etero, abile): per questo piuttosto che di body positivity preferiamo parlare di fat acceptance, per questo piuttosto che di persone disabili preferiamo parlare di persone disabilitate, e via discorrendo. Per rifiutare il margine a cui siamo relegatə e riprenderci il centro, l’unica risposta possibile è una lotta rivoluzionaria, che abbatta il patriarcato e non che ce lo faccia vivere bene. Ma questa non si costruisce solo nelle singolarità, non si costruisce solo al nostro interno: è condivisione, convergenza, cordone, con la collettivizzazione di un dolore e soprattutto di una rabbia che appartiene a tuttə noi e sia forza di distruzione di questo sistema. Quindi in definitiva, con The Bold Type, ci è capitato di chiederci se serie tv come questa rendono le nostre vite migliori o peggiori. La risposta forse sta nel mezzo. Amiamo l’idea che la pressione normativa su corpi e sessualità venga un po’ rotta, nel mainstream, con proposte di visibilità diverse. Detestiamo che, nelle mani del capitalismo, questo diventi uno strumento di produzione di valore, diventi l’occasione per sfogare nell’individualità delle istanze che trovano la loro vera forza – di distruzione e creazione – solo nella collettività, nel fare dei nostri infiniti e inetichettabili corpi un corpo unico e sovversivo. Detestiamo l’immaginario di donna emancipata come la donna in carriera, iperproduttiva, inserita nel capitalismo alla perfezione: perché non esiste in questo mondo la fine del patriarcato senza la fine del capitalismo e un sistema vigente fatto di dominio, potere, sovradeterminazione, sfruttamento e normalità comode non è, né mai sarà, accogliente per tuttə. Quindi il nostro consiglio forse è: guardiamo The Bold Type, gioiamo perché ci fa sentire meglio con noi stessə ma soprattutto incazziamoci perché non ci basta, perché vogliamo tutto.
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