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Boschi urbani e cementificazione: conflitti ambientali nella città neoliberale.

Restituzione dell’incontro tra il laboratorio “Until the Revolution” e Andrea Zinzani.

Abbiamo organizzato un’iniziativa col professor Zinzani, ricercatore e docente dell’Unibo, per parlare della preservazione dei boschi urbani contrapposta ad un modello urbano che porta avanti cementificazione e speculazione edilizia. La riflessione del Prof. Zinzani circa le problematiche ambientali all’interno della città odierna ed in particolare circa la questione dei Prati di Caprara per la città di Bologna, parte da tre concetti teorici e metodologici: la definizione di “città neoliberale” a cui è collegata l’emersione del concetto di riqualificazione (riqualificazione per chi? Secondo quali canoni di qualità?), l’approccio della disciplina ancora in fase costituente dell’Ecologia Politica Urbana, e l’origine e le forme in cui si declina il conflitto ambientale all’interno della città. Per città neoliberale s’intende lo spazio urbano come oggi viene riconfigurato da nuovi attori ed equil bri di potere. Il principio della città disegnata dal governo pubblico è infatti messo in discussione mentre il peso dei capitali urbani è crescente. I nuovi assetti di governo si basano su interessi di attori transcalari, grandi società globali ma che con la loro presenza capillare arrivano ad incidere pesantemente sulle realtà locali. Assistiamo in questo periodo quindi ad un passaggio da “governo della città” a “governance”. La governance si presenta come una forma di gestione aperta ma in realtà cela solamente gli equilibri di potere che si trovano al suo interno. La crisi dell’industria manifatturiera ha lasciato negli spazi urbani ampie porzioni abbandonate, di conseguenza c’è la volontà da parte di istituzioni e capitale di valorizzare economicamente queste porzioni di spazio urbano costruendoci sopra un immaginario. Si finge di considerare comitati di quartiere e quant’altro, mentre in realtà vi è interesse solo verso il profitto e non c’è un vero dibattito politico. Questo tipo di politica urbanasegue il modello della politica contemporanea, quello post 2008. Il dibattito politico viene impoverito per andare a legittimare e poi ad applicare criteri tecnocratici. A Bologna attori transcalari, come AirBnB, stanno assumendo un potere trasformativo notevole che va a determinare quei processi come la turistificazione o la gentrificazione. Questi attori pur essendo così tanto influenti nella ridefinizione dello spazio urbano non si confrontano nello spazio politico pubblico della città. L’ecologia politica urbana nasce come componente dell’ecologia politica e parte dall’idea che la città sia una costruzione ibrida, prodotto da dinamiche economiche e sociali da una parte e biologiche dall’altro; lo spazio urbano è continuamente trasformato secondo relazioni socio-naturali urbane non neutrali ma con interessi politici ed economici precisi. All’interno di queste relazioni si produce anche il conflitto teorizzato dall’ecologia politica come contrapposizione fra visioni politiche ed interessi, idea secondo cui in un quadro di democrazia ci sia il bisogno di mettere a confronto visioni differenti anche circa le politiche urbane. La conflittualità, secondo gli studi di ecologia politica, nasce dagli esclusi dai processi decisionali, che mettendosi insieme possono essere in grado di crearsi o di rafforzare un’identità e successivamente aprire uno spazio politico. Il conflitto è quindi inteso come un processo: dall’individuo si passa alla comunità e da questa ad un movimento che possa andare a mettere in discussione le politiche urbane. Qui passiamo al bosco dei Prati di Caprara. Siamo di fronte ad un caso di socio-natura straordinario, perché mette assieme dei discorsi politici precisi con processi naturali incontrollabili. Dopo la Seconda Guerra Mondiale quest’area diviene zona militare, la quale si costituisce in due parti: una zona ovest con caserme e spazi abitativi ed una zona est come zona d’addestramento (dagli anni Quaranta fino a fine anni Settanta). Poi la caserma chiude, lo spazio viene abbandonato e si avvia quel processo che gli scienziati forestali definiscono “rinaturalizzazione” o “rimboschimento naturale” e progressivamente quest’area diventa un bosco urbano. Interessante perché per anni quest’area viene dimenticata, molti bolognesi non la conoscono. Il 2016 è un anno chiave per ragionare sulla riqualificazione dei Prati all’interno dell’affaire che è la ristrutturazione dello stadio Dall’Ara. Attori economici internazionali chiedono, in cambio del finanziamento dell’impianto sportivo, uno spazio da mettere a valore. Nasce qui la politica chiamata POC (Piani Operativi Comunali): la proprietà dei Prati passa dal Ministero della Difesa al demanio e quindi a Invimit, società pubblica che gestisce i beni del Ministero degli Interni e che ha l’obbiettivo di mettere a valore i beni statali. Inizia a prospettarsi l’idea di una “cittadella della moda”. Da questo processo di depoliticizzazione del POC nasce un gruppo di cittadini che vivono nella zona attorno al bosco urbano che dicono “no”, che dicono che quella zona ha un valore climatico e ambientale molto forte essendo che il quadrante ovest di Bologna è una delle aree più inquinate dal traffico. Si costituisce così il comitato Rigenerazione No Speculazione il cui passo successivo è tentare di democraticizzare i processi decisionali. Si costruisce un dibattito che va ad influenzare il POC e quindi va a trasformare la narrazione del Comune su questo tema, Comune che inizia a parlare di un “bosco da preservare”. Il conflitto gioca un ruolo fondamentale in quelle che sono le istanze che vanno a trasformare il territorio urbano e il caso del comitato Rigenerazione No Speculazione è esemplare di come il ruolo della comunità possa andare a rimettere in discussione ciò che veniva dato per scontato.

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