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LA VOSTRA ETICA NON CI APPARTIENE!

E’ passato un anno dal primo caso di covid accertato in Italia, e la pandemia non solo ha fatto nascere una vastità di nuovi problemi, ma ne ha anche ampliati tanti che già erano presenti.

Non serviva la pandemia per rendersi conto di quanto la zona universitaria bolognese stesse già tendendo a essere sempre più controllata e militarizzata, con il fine di renderla una mera area di attraversamento in cui si transiti solo per andare a lezione, prendere un libro e tornare a casa. Una concezione di università, questa, che da sempre abbiamo posto a critica, nella quale gli spazi di confronto tra studenti e studentesse non sono ritenuti importanti dalla governance universitaria, che, dal primo giorno in cui si è insediata, ha mirato a chiuderne il più possibile.

Un’università vista come un’azienda, in cui chi la frequenta è come un vaso da riempire il più possibile di nozioni, per essere poi sfruttato nel mondo del lavoro.

Siamo davanti ad una dirigenza universitaria che invece di farsi carico dei problemi e provvedere a una soluzione chiara e repentina preferisce delegare le proprie responsabilità ad aziende terze esterne appaltando i servizi che dovrebbe offrire di per sé. 

Proprio in questi giorni si tiene il processo agli studenti e alle studentesse che, nel 2016, parteciparono attivamente alle giornate di lotta in mensa per pretendere un prezzo in linea con quello nazionale, visto che quello proposto era di quasi il doppio.

Queste giornate non furono isolate, ma inserite in una mobilitazione molto più ampia che chiedeva al rettore Ubertini di prendere in considerazione le richieste di chi viveva la zona universitaria e tutti i problemi ad essa connessa, come appunto il caro mensa, ma non solo.

Più in generale ciò che si pretendeva era, appunto, avere accesso ai servizi fondamentali ad un prezzo accessibile che non escludesse nessun*. Non arrivando alcuna risposta, gli studenti e le studentesse decisero di autorganizzarsi, e al grido di “Oggi 3 euro possono bastare”, praticarono l’autoriduzione del prezzo imposto da Elior, compagnia alla quale è appaltata tutt’ora la gestione del servizio mensa dell’Unibo.

Alle indagini portate avanti dalla questura di Bologna, rispetto alle giornate di autoriduzioni, lotta e conflitto, si aggiunse subito la pena inflitta dal rettorato, che equivaleva alla sospensione di sei mesi di quegli studenti e di quelle studentesse che pretendevano di vivere in maniera dignitosa e di non essere vist* solo come limoni da spremere e da sfruttare per poi essere immessi nel mondo del lavoro, che farà poi altrettanto. Una pena che impedisce per il tempo previsto di poter dare esami, e quindi di poter proseguire con il proprio percorso di studi, ma che soprattutto eleva Unibo a giudice e boia allo stesso tempo e, il quale senza neanche aspettare l’esito delle indagini, dichiara “colpevoli fino a prova contraria”.

Ubertini e la sua dirigenza hanno sempre apprezzato questo modo di agire e punire. E’ di qualche giorno fa, infatti, la notizia del Prorettore vicario Degli Esposti che, in relazione all’affollamento delle piazze della zona universitaria (per approfondire https://cuabologna.it/2021/02/07/si-consuma-lultimo-rumore/), ha dichiarato, oltre a dare completo appoggio alle forze dell’ordine, la volontà di prendere le generalità delle persone identificate per procedere con la sospensione.

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